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Educazione sessuale: un affare di famiglia. Ritiro immediato del DdL Valditara 

Nella scuola procede a grandi passi l’opera reazionaria e repressiva del ministro Valditara.  Alle imposizioni contenute nelle nuove Indicazioni nazionali, al codice disciplinare per i lavoratori, alla riforma del voto di condotta, alla caccia al telefonino, alle sanzioni per chi decide di sostenere un orale poco brillante alla maturità si aggiunge infatti la partita dell’educazione sessuale, recentemente giunta in una fase calda del dibattito.

Lo scorso febbraio i deputati Sasso (Lega) e Amorese (FdI) presentavano una proposta di legge a testa, entrambe finalizzate all’introduzione del consenso informato delle famiglie per attività scolastiche inerenti sessualità e affettività. In pratica per svolgere attività didattiche di educazione sessuale e affettiva, e solo di un certo tipo rigidamente delineato, serve il placet delle famiglie.

A maggio le proposte di legge venivano recepite in un disegno di legge organico presentato dal ministro dell’istruzione Valditara, il DdL 2423. E nell’estate è stato avviato il relativo iter.

Proviamo a contestualizzare questi interventi legislativi.

Il dilagare della violenza sessuale e dei femminicidi, e la particolare eco mediatica che soprattutto alcuni di essi hanno avuto negli ultimi due anni, ha generato un dibattito pubblico in cui ha assunto rilevanza la questione della violenza sessuale come fenomeno sistemico della società patriarcale: una sollecitazione correttamente arrivata dal mondo femminista e transfemminista, ma poco correttamente rielaborata a livello mainstream o comunque in ambito riformista. In particolare, l’insistenza nell’attribuire il fenomeno delle violenze sessuali ai giovani (ricordiamo che l’età media degli autori di femminicidi è 54 anni), enfatizzando una loro incapacità di gestire l’affettività e le relazioni, ha sollecitato da più parti la necessità di un’adeguata educazione alla sessualità e all’affettività a partire dalle scuole.

Aldilà di ogni legittima considerazione su cosa significhi, in generale, educare la sessualità in una società sessista tramite l’istituzione scolastica, va considerato che cosa significhi, nello specifico, avviare questo processo all’ombra di un ministero e di un governo come quello attuale e quali enormi problematiche si aprano.

Infatti all’inizio del 2025 l’associazione Pro Vita & Famiglia lancia una campagna dal titolo “Mio figlio no!” espressamente finalizzata a “fare pressione su Governo e Parlamento affinché si arrivi ad una Legge sulla Libertà Educativa dei genitori”. Ciò allo scopo esplicitamente dichiarato di opporsi all’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, ritenuta veicolo di indottrinamento all’ideologia gender. A sostegno dell’iniziativa, oltre alla trista cordata già vista in azione al Family Day di Verona di qualche anno fa, anche le associazioni “Non si tocca la famiglia” e “Generazione famiglia”, ma soprattutto insigni rappresentanti del governo come Sasso e Amorese che con sincronismo perfetto recepiscono il tutto in specifiche proposte di legge. A giugno la campagna, ormai robustamente sostenuta da due proposte e un disegno di legge del ministro dell’istruzione Valditara, viene rilanciata in un evento pubblico, il Festival dell’“Umano tutto intero”, sostenuto dal network “Ditelo sui tetti” giunto alla sua seconda edizione e quest’anno strettamente collegato al Giubileo.

Ma vediamo i contenuti degli atti legislativi in questione.

La proposta di legge 2271 Amorese, sottolineando il primato assoluto della famiglia nella scelta di far partecipare o meno i figli ad attività di educazione sessuale a scuola, specifica in premessa qual è l’obiettivo dell’introduzione del consenso informato delle famiglie: arginare e contenere la trattazione dei temi dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuola, veicolo per la “diffusione di modelli culturali distorti  e contaminazioni ideologiche che appaiono intollerabili (…) evitando imposizioni culturali e indottrinamenti su temi di così grande e profonda sensibilità.”

La proposta di legge 2278 Sasso, sempre finalizzata all’introduzione del consenso informato delle famiglie, spazia più ampiamente sulla materia. Sono vietate tutte le attività “in qualsiasi modo connesse ai temi concernenti l’identità o la fluidità di genere o l’orientamento sessuale ovvero che possano promuovere anche implicitamente la transizione sessuale o di genere”. Un docente- guardiano presente in classe vigilerà sull’osservanza di questo diktat, con sanzioni per i trasgressori (sospensione fino a un mese dall’insegnamento). Come se non bastasse, la foga omofoba viene estesa anche a pratiche e comportamenti quotidiani, andando a colpire qualche blanda esperienza inclusiva introdotta da alcune scuole. La proposta di legge Sasso, infatti, prevede che siano aboliti i percorsi di carriera Alias, tranne i casi in cui si dimostri l’avviamento formale di un percorso di “rettificazione di attribuzione del sesso”. Aboliti anche i cosiddetti “bagni neutri”: distinzione tassativa tra bagni e spogliatoi maschili e femminili, con l’obbligo per gli studenti di “utilizzare esclusivamente quelli del sesso attribuito alla nascita”. Analogo obbligo per la partecipazione alle manifestazioni sportive nella categoria maschile e femminile.

Valditara ha integrato queste proposte in un disegno di legge che nel ribadire l’impianto omofobo e sessista indica ulteriori “dispositivi di chiusura”, come lui stesso li definisce.

Innanzitutto, esclude dalle attività di educazione sessuale scuola dell’infanzia e scuola primaria. Specifica poi che tutti i materiali didattici delle attività in questione devono essere consegnati con considerevole anticipo e messi a disposizione delle famiglie che devono visionarli ed esprimere consenso oppure no almeno una settimana prima dello svolgimento. Seguono quindi rigide indicazioni per la selezione di soggetti esterni che possono essere coinvolti nelle attività, di cui verrà elaborato un albo e saranno valutati i titoli. Sono infine definiti i passaggi per rendere attuativo il meccanismo del consenso informato preventivo delle famiglie.

È chiaro infatti che sottoporre un’attività didattica al consenso familiare è operazione inedita e pesantissima, anche soltanto dal punto di vista normativo, che implica una grave limitazione della libertà di insegnamento, tra l’altro costituzionalmente tutelata, e delle competenze del Collegio dei docenti, a cui spetta la definizione del Piano triennale dell’offerta formativa  (PTOF), oltre a rappresentare una grave limitazione al diritto all’educazione e alla formazione, sottoposto al veto delle famiglie con conseguente  discriminazione fra studenti.

Consapevole di un’operazione estremamente attaccabile anche sul piano formale, Valditara ha dunque pensato bene di blindare l’acquisizione del consenso delle famiglie riformando unilateralmente il PTOF e introducendovi un’apposita sezione denominata “Attività sensibili riguardanti la sfera personale”, contenente il modulo da compilare obbligatoriamente per esprimere consenso.

Attualmente il disegno di legge sta seguendo il suo iter nella Commissione Cultura della Camera, presieduta – merita sottolineare – dal fratello d’Italia Federico Mollicone, assurto agli onori della cronaca qualche tempo fa per i suoi attacchi a una puntata della serie di cartoni Peppa Pig in cui c’era una famiglia omogenitoriale con un orsetto polare che aveva due mamme.

La gravità dell’atto legislativo in discussione è evidente. A parte la violazione contemporanea di una decina di disposizioni legislative che dovrebbero tutelare diritti di studenti, docenti, cittadinx, istituzioni scolastiche e loro organi collegiali etc., quello che è odioso e gravissimo sta sul piano specificamente politico e repressivo. Che una proposta di legge ci dica addirittura quale bagno usare non è demenziale, è violenza. È violenza negare a giovani persone transgender la possibilità di cercare di capirsi, nominarsi, definirsi, anche a scuola, nella relazione quotidiana di un ambiente di studio e di lavoro, al difuori di un percorso di medicalizzazione. È violenza sottoporre l’educazione sessuale al controllo ideologico di famiglie sotto la spinta di nuclei della destra organizzata ultraconservatrice e omofoba.

Tra l’altro il familismo è un tratto che ritorna anche in altri contesti di politica scolastica. Basti pensare che è appena entrato in vigore una procedura di nomina di supplenza annuale che, in barba alle graduatorie, prevede la conferma degli insegnanti di sostegno precari dell’anno precedente sulla base della richiesta delle famiglie dei disabili: tutto questo nella scuola pubblica.

rUna retorica familista dilagante e deleteria, che investe non solo la scuola e che appare tanto più grottesca se accostata al dato del 90% dei femminicidi che si consumano in famiglia o, tanto per fare un esempio, ai casi di piattaforme o gruppi social come “Mia moglie”.

Ovviamente, riguardo al disegno di legge Valditara, non c’è da stupirsi del portato sessista, omofobo, discriminatorio e reazionario che lo caratterizza. Dobbiamo però evitare qualsiasi banalizzazione e sottovalutazione di una problematica che è di estrema rilevanza. Già alcuni sindacati di base, lavoratori della scuola, collettivi, associazioni, studenti hanno preso posizione e chiesto a gran voce il ritiro del DdL Valditara. È necessario comprendere la portata violenta di questo disegno di legge e i suoi legami con le più generali politiche governative. Ed è necessario contrastarlo realmente sia nei luoghi di lavoro e di studio che nei contesti di più generale lotta sociale.

Patrizia Nesti

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