L’incontro tra Trump e Putin in Alaska ha coinciso con il quarto anniversario della precipitosa fuga dell’esercito USA da Kabul dopo vent’anni di occupazione: un quarto di secolo di guerre, iniziato nell’ottobre del 2001, come vendetta e punizione collettiva – modello futuro per Netanyahu – per l’attacco terroristico subìto l’11 settembre. L’invasione dell’Ucraina ne è stata anche l’estremo effetto, un effetto farfalla nel tempo e nello spazio secondo l’intuizione di Edward Lorenz, che impregna di sé anche le complesse relazioni internazionali: il battito d’ali di una farfalla in una parte del mondo genera un uragano dall’altra. Ossia il diritto internazionale vale per tutti ovunque – dall’Afghanistan all’Iraq, dall’Ucraina alla Palestina – oppure è impossibile farlo valere solo per qualcuno.
Oltre tre anni di guerra dopo, un milione e quattrocentomila vittime dopo tra i soldati russi e ucraini (stime del Center for Strategic and International Studies di Washington), in una condizione sul terreno molto peggiorata per l’Ucraina, gli ucraini sono ormai stremati da questa strage infinita. Lo certifica la società di analisi Gallup: nell’ultimo sondaggio in Ucraina il 69% si dichiara favorevole a una fine negoziata della guerra il prima possibile, rispetto al 24% che sostiene di continuare a combattere ancora. «Un’inversione di tendenza quasi totale rispetto all’opinione pubblica del 2022 – scrive Gallup – quando il 73% era favorevole a che l’Ucraina combattesse fino alla vittoria e il 22% preferiva che l’Ucraina cercasse una conclusione negoziata il prima possibile». Un crollo del consenso bellico al governo, dimostrato anche dai disertori sempre più numerosi e perseguitati, come monitora la Campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento.
«Poiché per fare la guerra ci vuole un nemico con cui guerreggiare – spiegava Umberto Eco – la ineluttabilità della guerra corrisponde alla ineluttabilità dell’individuazione e della costruzione del nemico» (Costruire il nemico, 2020). Se l’incontro tra Trump e Putin e il successivo con Zelensky saranno preludio allo “scoppio della pace” in Ucraina e ciò facesse venire meno il nemico assoluto per l’Europa, contro il quale è stato costruito l’obbligo del riarmo, i governi come convinceranno le rispettive opinioni pubbliche che bisogna ancora trasferire enormi risorse dagli investimenti per la salute, l’istruzione, la sicurezza sociale alle casse delle industrie belliche? Finché c’è guerra c’è speranza s’intitolava un celebre film di Alberto Sordi del 1974, nel quale interpretava il ruolo di un mercante di armi: ma se essa finisse, come si alimenterebbe la loro speranza? Niente paura, ci sarà da costruire il “porcospino d’acciao”, secondo la metafora utilizzata da Ursula Von der Leyen, come “garanzia di sicurezza” iper-armata dell’Ucraina, per significare i rapporti futuri tra Ucraina, Europa, Nato e la Russia.
[Articolo pubblicato su I blog del Fatto Quotidiano]