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Gaza. Breve storia dell’agricoltura che fu. E domani?

Solo l’1,5% della terra disponibile per la coltivazione a Gaza, ovvero 232 ettari,  è al tempo stesso accessibile (caratteristica che riguarda ormai solo l’8,6% del totale, 1.300 ettari) e non danneggiato. Lo spiega una recentissima valutazione di Fao-Unosat (United Nations Satellite Centre) https://openknowledge.fao.org/items/3a966c1f-c31b-4550-90bb-eca8efbe9c1f . Per il resto, l’86,1% (12.962 ettari) è danneggiato, il 12,4% (1858 ettari) non è danneggiato ma attualmente non è accessibile. Allo stesso modo, il cibo a titolo di aiuti è disponibile ma il suo accesso è bloccato e questo ha portato la popolazione a una carestia su larga scala. Oltre a permettere con urgenza il passaggio degli aiuti, si tratterebbe anche di sostenere la produzione locale di alimenti. 

I dati Fao sono usciti negli stessi giorni in cui l’esercito israeliano faceva demolire https://viacampesina.org/en/2025/08/destruction-of-the-hebron-seed-bank-peasant-organizations-across-regions-express-outrage/ a colpi di bulldozer uno dei due siti della Banca dei semi palestinesi a Hebron, nata nel 2010 per raccogliere e conservare sementi locali, memoria di un popolo. Quanto a Gaza, la sua unica Banca dei semi baladi, che si trovava ad al Qarara, è stata distrutta dai bombardamenti israeliani nel dicembre 2023…

E in un’operazione quasi fantascientifica, un anno fa vari ricercatori e attivisti impegnati nel progetto di ricerca agro-ecologico Gaza Foodways (che era stato interrotto nell’ottobre 2023) pubblicava sulla rivista online «Rooted» https://rooted-magazine.org/2024/08/01/whats-next-for-gazas-food-systems/  un documento ripreso poi nel marzo 2025 dalla Rivista contadina con un titolo che potrebbe sembrare fantascientifico «Cosa succederà ai sistemi alimentari di Gaza?». 

Impossibile non partire dall’attualità, con il cibo usato come arma di guerra e la terra e l’acqua gravemente inquinate dal conflitto. Ma autrici e autori celebrano anche la ricca cultura alimentare di Gaza, un sistema agricolo e alimentare noto come baladi, portato avanti dai contadini (fellahin) nella loro storica lotta per la protezione della terra, cruciale nella resistenza all’occupazione. «Le varietà locali di olivo, palme da datteri, agrumi e uva sono state adattate nel corso delle generazioni per far fronte alle condizioni sabbiose e saline lungo la costa; i terreni più pesanti a base di argilla nella parte orientale mantengono l’umidità e la fertilità sufficienti per sostenere un’agricoltura alimentata dalle piogge», con cereali, alberi da frutta, ovini. 

A causa dello sfollamento forzato di famiglie prevalentemente contadine dalla Palestina storica nel 1947-9 e di nuovo nel 1967, la popolazione di Gaza è cresciuta a dismisura. Già prima dell’aggressione, il 74% dei gazawi erano rifugiati: «La maggior parte erano senza terra, affittavano terreni o producevano sui tetti negli otto campi profughi. Dal censimento del 2017, nessuna terra a Gaza è stata classificata come rurale e l’agricoltura si svolge nelle città e attorno a esse, ed è sempre più compressa fra l’espansione urbana e l’annessione delle terre di confine da parte di Israele. Ciononostante, un quarto della popolazione traeva il proprio sostentamento dall’agricoltura familiare su piccola scala e tre quarti erano donne». 

Con il blocco illegale dal 2007 muri di sicurezza e recinzioni limitavano il movimento in entrata e uscita delle merci, e la no-go zone israeliana impediva l’accesso alle terre più fertili mettendo fuori uso un terzo dei terreni agricoli totali. Chi si avvicinava troppo, non di rado veniva colpito. Comunque, «in un atto di resistenza ad alto rischio, i contadini hanno continuato a piantare colture baladi come grano, orzo, lenticchie e ortaggi». L’irrorazione di erbicidi da parte di Israele ha danneggiato centinaia di ettari. le incursioni con i bulldozer hanno fatto il resto. La contaminazione da ordigni inesplosi c’era già, anche prima della guerra iniziata a Gaza l’8 ottobre. Attacchi aerei e invasioni di terra prendevano di mira le infrastrutture alimentari e idriche. 

Eppure nonostante bombardamenti e incursioni, Gaza per alcuni anni era riuscita a rimanere autosufficienti per frutta e verdura. Però, i tentativi di ridurre la dipendenza dagli aiuti e dalle importazioni israeliane hanno avuto un costo. Agronomi e Ong hanno dato priorità ai metodi di produzione intensiva; importando input chimici da Israele. Tutto il settore si è indebitato, anche a causa dei cambiamenti climatici e delle difficoltà economiche indotte dai blocchi. 

Tutto cambia nell’ottobre 2023. E a maggio 2024, risultava già danneggiata la metà dei terreni e il 70% delle serre.  

Le due ricercatrici e i due ricercatori operavano in precedenza per sostenere il passaggio da un’agricoltura dipendente e industrializzata a un’alternativa basata sull’agroecologia e la sovranità alimentare a livello urbano e territoriale.  Obiettivo: rafforzare la ricerca, la pratica e la creazione di politiche agroecologiche urbane guidate da donne promuovendone la partecipazione a tutti i livelli del sistema alimentare. Pochi giorni prima dall’attacco a Gaza, avevano avviato il primo corso di laurea professionale in lingua araba in agroecologia urbana e sovranità alimentare. 

Tutto interrotto, anche se la rete creata non si è sciolta e ha anche contribuito a creare cucine comunitarie. C’erano, ancora nel 2024, «progetti per ricostruire l’unica banca dei semi baladi a Gaza (…)». I semi come una nuova moneta comune, portati con sé durante gli spostamenti e piantati accanto ai rifugi temporanei e sui terreni recuperati. «Una manifestazione della cura e della fermezza collettiva della popolazione di Gaza».

Poi tutto è cambiato. Le autrici e gli autori concludono così: la guerra continua a devastare l’intero sistema alimentare di Gaza come il suo tessuto sociale e per il «giorno dopo», oltre la fine del conflitto, stanno emergendo due visioni distinte e incompatibili del futuro del cibo e dell’agricoltura. 

Il futuro… sembra difficile pensarci, di fronte a fatti e progetti contrari a ogni logica e umanità. Comunque ecco le due visioni descritte. «La prima è incentrata sula climate-smart agriculture e sull’intelligenza artificiale, un futuro alimentare ad alta intensità tecnologica e di input, estrattivo, verticale e privo di persone, dipendente dal capitale globale. Le forze della colonizzazione e del neoliberismo hanno a lungo cospirato per trasformare il sistema alimentare di Gaza, erodendo le sue abitudini alimentari e imponendo una dipendenza totale. La distruzione di Gaza e la sua ricostruzione rappresentano opportunità di investimento. La fattibilità di una crescente dipendenza da input privati e importati preoccupa, perché l’accesso può essere negato da Israele o tagliato o distrutto. Inoltre la concentrazione del potere sul sistema alimentare nelle mani del capitale internazionale collega agribusiness, biotech e complesso militare industriale». 

L’altra visione, quella dell’agroecologia basata sulle tradizioni alimentare baladi, è diversificata, legata al territorio e incentrata sulle persone; cerca di attingere alle tradizioni alimentari di Gaza, ad alta intensità di conoscenza, attraverso policolture adattate localmente, e si concentra sull’obiettivo della salute ecologica e umana (che comporterà anche una faticosa bonifica del territorio). 

Gli autori mettono le mani avanti: in piena guerra, «non è chiaro quale delle due visioni sceglierà Gaza e nemmeno se questo è nelle sue possibilità». Cambierà anche la demografia, con molte più donne come capofamiglia. Occorre un ripensamento radicale anche per mettere al centro le conoscenze, competenze e necessità delle donne. 

Sempre che rimanga una popolazione, nella Striscia.

Marinella Correggia

Fonte
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