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A Gaza i giornalisti ora muoiono anche di fame

“Un tempo cercavo la verità. Ora cerco calorie”. Abdulrahman Ismail, un giovane fotoreporter di Gaza, si batte ogni giorno tra un reportage e la ricerca disperata di cibo per sé e la sua famiglia. La sua è solo una delle tante storie di giornalisti rimasti a Gaza per raccontare gli attacchi israeliani nella Striscia e ora impegnati per la sopravvivenza, vittime come tutta la popolazione della fame di massa dopo il blocco degli aiuti umanitari, prima, e della distribuzione centellinata di cibo (e sotto il fuoco dell’esercito), poi.

La scorsa settimana un'associazione che rappresenta i giornalisti dell'agenzia di stampa Agence France-Presse ha lanciato l’allarme sulle condizioni dei propri colleghi a Gaza, ormai allo stremo delle forze. “Da quando l'AFP è stata fondata nell'agosto 1944, abbiamo perso giornalisti in conflitti, abbiamo avuto feriti e prigionieri tra le nostre fila, ma nessuno di noi ricorda di aver visto un collega morire di fame”, si legge nella dichiarazione. 

“Senza un intervento immediato, gli ultimi giornalisti presenti a Gaza moriranno”, prosegue la dichiarazione di AFP. I giornalisti dell'agenzia di stampa francese hanno lasciato la Striscia lo scorso anno, quando è stato vietato l’ingresso ai media internazionali. Da allora AFP ha collaborato con freelance, “gli unici rimasti sul campo a riportare ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza”. Dopo essere sopravvissuti ai bombardamenti aerei e alla mancanza di assistenza sanitaria, i giornalisti a Gaza ora rischiano di morire per fame. “Stiamo assistendo al peggioramento della loro situazione. Sono giovani, ma le forze li stanno abbandonando. La maggior parte di loro non è più fisicamente in grado di spostarsi per svolgere il proprio lavoro. Le loro strazianti richieste di aiuto sono ormai quotidiane”. 

I bisogni più urgenti sono cibo e acqua. “Alcuni di noi bevono acqua salata solo per riuscire a stare in piedi mentre lavorano. Altri masticano erbe secche o foglie selvatiche per calmare le fitte allo stomaco. Ci sono momenti in cui le mani mi tremano così tanto che non riesco a tenere in mano la penna, né a mettere a fuoco l'obiettivo della telecamera davanti a me”, racconta Ismail al giornalista della Columbia Journalism Review, Meghnad Bose. “La fame confonde tutto: i pensieri, i ricordi, persino il linguaggio”.

“Sono annebbiato dalla fame, tremo per la stanchezza e resisto allo svenimento che mi assale in ogni momento”, aggiunge Anas al-Sharif, giornalista di Al Jazeera. “Gaza sta morendo. E noi moriamo con lei”.

Nei giorni scorsi, al-Sharif è stato ripetutamente attaccato online da un portavoce dell’esercito israeliano per un suo video in cui documentava la crisi alimentare a Gaza ed è stato “accusato falsamente di essere un terrorista di Hamas”, riporta il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) che ha espresso “grande preoccupazione” per la sua incolumità fisica. In passato, osserva il CPJ, Israele ha rivolto accuse simili ad altri giornalisti a Gaza (tra cui quattro colleghi di al-Sharif di Al Jazeera) prima di ucciderli. Una settimana fa un altro giornalista, Adam Abu Harbid, è stato ucciso in un attacco aereo. Secondo i dati raccolti dal CPJ, i giornalisti uccisi dal 7 ottobre 2023 sono 186, mentre per il Watson Institute for International and Public Affairs della Brown University dall'ottobre 2023 sarebbero stati uccisi più di 230 giornalisti e operatori dei media a Gaza.

BBC, Reuters, Associated Press e altre testate si sono unite all’allarme lanciato da AFP. “Siamo profondamente preoccupati per i nostri giornalisti a Gaza, che sono sempre più incapaci di sfamare se stessi e le loro famiglie”, hanno affermato le testate giornalistiche in una dichiarazione congiunta. “Per molti mesi questi giornalisti indipendenti sono stati gli occhi e le orecchie del mondo a Gaza. Ora si trovano ad affrontare le stesse terribili condizioni delle persone di cui stanno parlando”.

“I giornalisti e gli storici troveranno un modo per raccontare al mondo la verità, e la portata delle atrocità sarà innegabile. E qualunque cosa facciano mentre sono al potere, i governi e i presidenti che hanno sostenuto questi orrori e tollerato l'uccisione dei giornalisti che li hanno denunciati saranno ricordati innanzitutto per la loro complicità”, dice alla Columbia Journalism Review Seth Stern, direttore dell'advocacy della Freedom of the Press Foundation. 

“Mentre questi giornalisti affrontano la fame, lo sfollamento e la costante minaccia di attacchi, la comunità internazionale rischia di perdere la sua ultima fonte indipendente di informazione dall'interno di Gaza”, aggiunge Sara Qudah, direttrice regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa del CPJ. “Non si tratta solo di una perdita di informazioni, ma di un crollo della trasparenza, di un duro colpo alla difesa dei civili e di una pericolosa apertura all'impunità. Zittire i giornalisti in queste condizioni non è solo una questione di libertà dei media, è una crisi di responsabilità globale”.

Le agenzie di stampa chiedono da mesi alle autorità israeliane di consentire ai giornalisti di muoversi più liberamente da e verso Gaza, ma queste richieste sono diventate più disperate nelle ultime settimane, dopo le preoccupazioni per le condizioni fisiche di alcuni di coloro che hanno cercato di seguire il conflitto. Anthony Bellanger, segretario generale della Federazione internazionale dei giornalisti, ha chiesto al governo israeliano di smettere di “usare la fame come arma contro la popolazione di Gaza” e di “consentire ai giornalisti stranieri di entrare a Gaza e facilitare l'evacuazione dei giornalisti locali in difficoltà”.

Dopo l’annuncio della “tregua alimentare” di domenica scorsa da parte di Israele che acconsentito a far atterrare aerei provenienti dalla Giordania e dagli Emirati Arabi Uniti per lanciare aiuti umanitari su Gaza, Jeremy Bowen della BBC ha riferito di aver ottenuto il permesso di filmare dall'interno dell'aereo giordano, ma non dal finestrino. Questi aiuti, ha spiegato Bowen, non avranno un grande impatto sul terreno: sono per lo più “simbolici, fanno bella figura in televisione e danno l'impressione che si stia facendo qualcosa”. Tuttavia, ha aggiunto, il fatto stesso che siano stati effettuati è chiaramente una risposta israeliana alle crescenti pressioni internazionali, diplomatiche e mediatiche. 

È difficile raccogliere statistiche complete, considerato che Gaza è una zona di guerra e Israele ha imposto restrizioni all'ingresso di gruppi esterni, ma varie agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni umanitarie hanno dipinto un quadro desolante. L’Integrated Food Security Phase Classification, un'iniziativa sostenuta dall'ONU, ha riferito che “attualmente si sta verificando a Gaza il peggiore scenario di carestia”. 

Secondo il World Food Program, 90.000 donne e bambini hanno urgente bisogno di cure per malnutrizione, mentre una persona su tre non mangia da giorni. I medici di Gaza hanno descritto la difficoltà di far fronte al numero di pazienti che arrivano in cerca di cure per malnutrizione, con pochi strumenti a disposizione per fornire loro assistenza.

“Dobbiamo tornare ai livelli che avevamo durante il cessate il fuoco, con 500-600 camion di aiuti al giorno gestiti dall'ONU, compresa l'UNRWA, che i nostri team distribuivano in 400 punti di distribuzione”, ha affermato Juliette Touma, direttrice della comunicazione dell'UNRWA.

Immagine in anteprima: frame video BBC via YouTube

Fonte
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