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Le lotte non si sgomberano. Solidarietà al collettivo di fabbrica GKN

Spegnere quella luce in fondo al tunnel. Richiudere il prima possibile quella breccia che si è aperta e da cui rischia di entrare aria nuova, aria pulita.

Sembra questo l’obiettivo delle ultime manovre istituzionali intorno alla vertenza dello stabilimento GKN di Campi Bisenzio che, in questi oramai 4 anni, ha osato lanciare il cuore oltre l’ostacolo mostrando che i lavoratori e le lavoratrici sanno farsi alternativa.

Facciamo quindi il punto. A dicembre il Collettivo di Fabbrica ottiene, dopo mesi di lotte, accampate sotto la regione e 13 giorni di sciopero della fame, una nuova legge regionale che consente l’istituzione di consorzi industriali per intervenire in situazioni di crisi e l’impegno della Regione Toscana a istituire un consorzio che avrebbe raccolto, assieme alla cooperativa dei lavoratori, anche altri investitori pubblici e privati per avviare la produzione.

Uno strumento che, pur con tutti i limiti che lo stesso Collettivo non nasconde, permetterebbe di invertire l’attuale e sistematica gestione delle crisi industriali incentrata su speculazioni e delocalizzazioni da un lato, crisi sociale e disoccupazione dall’altro. In questo caso, inoltre, lo farebbe dando strumenti alla cooperativa dei lavoratori GFF (GKN For Future) per implementare il piano di riconversione ecologica nato dal basso e sostenuto da un ampio azionariato popolare. Manca però uno spazio per avviare la produzione, ed è per questo che si rivela centrale il ruolo della Regione e del consorzio.

Mentre questo consorzio tarda a partire – una lungaggine burocratica che i lavoratori denunciano da mesi come complice del problema – è arrivata da parte del Tribunale fallimentare l’ordinanza di sgombero. Si sostiene – in questa ordinanza – che lo sgombero vuole essere a tutela degli stipendi dei lavoratori, ovvero: permettere ai padroni di liquidare i loro beni mobili e immobili per pagare finalmente questi stipendi. Ma, piccolo dettaglio, i proprietari dell’immobile, una serie di società immobiliari stranamente costituite di recente, non sono quelli che devono pagare gli stipendi ai lavoratori.

Questa mossa naturalmente ha il fine politico di sottrarre al Collettivo di Fabbrica – e alla larga comunità solidale che si è costituita intorno al presidio dello stabilimento – uno dei principali punti di forza (ovvero controllare i mezzi di produzione) e di socialità, mascherando l’operazione come volta alla tutela del loro interesse, essendo troppa la legittimità sociale costruita da questa lotta per poterla criminalizzare. Inoltre, intrappolando la vertenza operaia in una serie di tecnicismi e passaggi legali, si cerca di renderla incomprensibile ai più, così da confondere le acque e aggravare il lavoro del Collettivo di restituzione dello stato della lotta all’esterno.

Lo diciamo oramai da 4 anni: l’avversità di istituzioni e privati rispetto alla questione GKN non è legata ad una mera questione di soldi. Il problema non è trovare qualche milione di euro, che sarebbero briciole se guardiamo ai bilanci pubblici o ai portafogli degli investitori, ma lasciare che i lavoratori si facciano alternativa strappando dalle mani delle élite politico-economiche la prerogativa di porsi come unica opzione in campo. Si pensi al solo fatto che in questi anni sono stati spesi per la cassa integrazione più soldi di quelli che sarebbero serviti agli operai per la reindustrializzazione. Il punto qui non è quindi strettamente economico, ma fortemente simbolico.

Se all’improvviso un gruppo di operai pensa di poter sfidare l’imperativo del “there is no alternative”, liquidando un’intera classe dirigente e imprenditoriale, che cosa può succedere? E se poi qualcun altro si mette in testa di poter fare lo stesso? E se, nel mezzo di un riarmo generale, le fabbriche dell’automotive in crisi si rifiutano di essere convertite alla produzione bellica perché vogliono produrre per – e non contro – la collettività? E se poi vincono?

È intorno a questo che oggi si sta giocando una partita cruciale. Ed è tanto più cruciale tanto più si pianifica la guerra e si prevede di piegare la società alla logica bellicista, che non consente vie di fuga, dubbi, dissensi, alternative.

Oggi i lavoratori hanno un piano per ripartire. È un piano per una fabbrica socialmente integrata al territorio. E non hanno intenzione di retrocedere di un millimetro. Se buona parte del sindacalismo confederale decanta vittorie su vittorie mentre subiamo una sconfitta storica, gli operai sono stati chiari: avanti, sconfitta dopo sconfitta, fino alla vittoria, senza la paura di mettersi in gioco.

Per farlo ci chiamano a raccolta, non con la pretesa di essere una lotta più importante di altre, di avere qualche diritto di priorità su altre istanze, ma per spingere più forte insieme in questo momento delicato e cruciale nella consapevolezza che se vinciamo, che, se questa breccia la sfondiamo, abbiamo creato un precedente: ci siamo fatti alternativa nel mondo in cui ogni alternativa ci viene negata. Ed è una vittoria che moltiplica le energie, le speranze, le possibilità.

L’11 e 12 luglio abbiamo il compito di spingere insieme a loro per invertire i rapporti di forza e respingere questo sistematico tentativo di chiudere le vertenze con sotterfugi tecnici e comprimere lo spazio dell’immaginario nei loro ristretti confini.

Sabato 11 luglio h.18 ritrovo in P.za Poggi a Firenze per concerto e corteo, il 12 luglio h.10 a Firenze “Assemblea generale dell’azionariato popolare: verso il punto di rottura?” che sarà un momento importante di discussione collettiva per decidere i prossimi passaggi sulla reindustrializzazione dal basso, una reindustrializzazione che al disegno di riconvertire l’economia alla guerra oppone l’idea di una economia fondata sull’utilità sociale.

Paola Imperatore

 

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