La tragedia del popolo afghano non ha fine. Dopo aver trovato rifugio in Iran e in Pakistan nel corso degli ultimi decenni, e in particolare a seguito del ritorno dei talebani a Kabul il 15 agosto 2021, dall’inizio di quest’anno quasi 2 milioni di rifugiati afghani sono stati costretti a tornare in patria per i programmi di espulsioni avviati dai governi dei due Paesi a partire dal 2023. Paesi che, d’altra parte, ospitano la stragrande maggioranza dei milioni di afghani che vivono all’estero, molti dei quali in condizioni di clandestinità. Difficili dunque le stime, ma l’Unhcr ha contato circa 4,5 milioni di afghani solo in Iran, 750 mila dei quali con lo status di rifugiato, mentre - secondo fonti ufficiali iraniane citate da Al Jazeera - prima di quest’ultima ondata di espulsioni l’Iran ne contava almeno 6,1 milioni, su una popolazione di 90 milioni.
Il rimpatrio forzato dei migranti afghani riguarda anche altri Paesi, dal Tagikistan agli Usa, dagli Emirati alla Germania, con modalità diverse ma con esiti ugualmente drammatici per chi finisce nella rete, come ricorda un recente articolo di Huffpost dal titolo significativo: “Mandati al diavolo. I rimpatri forzati degli afghani rispediti tra le braccia dei talebani”. Oggi in Afghanistan, paese con circa 43 milioni di abitanti, oltre la metà della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari per vivere: i rimpatri forzati sono dunque una tragedia per tutti - ma soprattutto per le donne, condannate a restare chiuse in casa dalle nuove leggi in vigore, e per quanti rischiano le violente ritorsioni dei talebani per essere stati giornalisti, collaboratori dei Paesi occidentali e attivisti per i diritti nel ventennio precedente.
Il fenomeno delle espulsioni è divenuto una vera emergenza in Iran a partire dal conflitto aperto da Israele il 13 giugno scorso, proseguito con i bombardamenti statunitensi su tre impianti nucleari e conclusosi dodici giorni dopo con un fragile cessate il fuoco. Cittadini afghani sono stati arrestati con l’accusa di lavorare come spie per il Mossad, in un clima di crescente ostilità verso la loro comunità, percepita da parte della popolazione come corresponsabile dei problemi economici e sociali del paese. Il presunto coinvolgimento di alcuni afghani in azioni militari orchestrate da Israele all’interno del paese è stato occasione per un’impennata di rimpatri forzati: secondo l’ufficio dell’Alto Commissario per il diritti umani dell’Onu, almeno 410 mila afghani sono stati costretti a rientrare in patria dal 24 giugno, su un totale di 1,5 milioni di espulsioni da parte di Teheran dall’inizio dell’anno. Circa 300 mila, intanto, gli espulsi nel 2025 dal Pakistan, paese che ha accolto finora almeno 3,5 milioni di afghani, metà dei quali senza documenti.
Nei giorni scorsi, durante un incontro a Teheran con l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha confermato la ferma intenzione del suo governo di rimpatriare i rifugiati afghani senza documenti validi, chiedendo alla comunità internazionale di assumersi le sue responsabilità e di sostenere il governo nello sforzo di assicurare ai migranti irregolari un ritorno in patria volontario e dignitoso.
Il reportage che qui pubblichiamo, inviatoci nei giorni scorsi dal collega afghano Hossein Karimi della provincia di Herat, racconta un’altra storia. Va detto anche che nessun paese europeo può dire di essersi preso in casa tanti migranti e rifugiati afghani come ha fatto finora l’Iran. Vivere in Iran non è mai stato per la comunità afghana una passeggiata, ma finora – come raccontano alcuni protagonisti di questo reportage - si è vista garantita un certo grado di stabilità e sicurezza. Altrettanto importante osservare che gli sforzi di alcune organizzazioni della società civile ad assistere i rifugiati afghani continuano, nonostante le nuove emergenze create dalla guerra di Israele nel paese e l’aggravarsi delle tensioni con gli Stati Uniti.
Lunghe code sul terreno rovente
di Hossein Karimi
Vicino al valico di Islam Qala, dove il terreno si screpola per il caldo e forti venti sollevano la polvere sui volti stanchi, si vedono lunghe file di donne, bambini e anziani che aspettano per ore di venire chiamati per ricevere una bottiglia d'acqua o un piccolo pacco di pane. I camion arrivano uno dopo l'altro, scaricando sul suolo afghano decine di altre famiglie che vivevano in città iraniane.
Secondo l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), oltre 700.000 migranti afghani sono stati rimpatriati dall'Iran solo negli ultimi tre mesi; il numero ha superato 1,2 milioni dall'inizio del 2025. Tra questa enorme folla ci sono migliaia di donne e bambini non accompagnati, senza genitori, che entrano a mani vuote e senza un riparo in un Paese che sta a sua volta lottando contro una grave crisi economica.
Caldo, malattie e morte: la prima sfida del rimpatrio
La temperatura nella provincia di Herat supera in questi giorni estivi i 40 gradi Celsius. Molti rimpatriati sono costretti a trascorrere giorni e notti all'aperto, senza riparo. Solo pochi piccoli centri sanitari sono attivi vicino al confine, incapaci di far fronte ai numerosi arrivi.
Hamid Yaqoubi, medico volontario del centro, afferma: "Ogni giorno decine di persone vengono da noi con gravi problemi: disidratazione, febbre, malattie della pelle e malattie infettive. Molti dei pazienti sono donne incinte e bambini che vivono in condizioni di viaggio e soggiorno disumane".
Purtroppo, aggiunge, la situazione al confine è davvero deplorevole e i migranti non ricevono cure adeguate. Il medico lamenta che i talebani hanno fornito tutte le strutture necessarie ai migranti espulsi dal Pakistan, ma non abbiano svolto alcun lavoro scientifico o di base per quelli espulsi dall'Iran.
Se una qualche organizzazione benefica e la gente non fossero intervenuti in loro aiuto, i migranti si troverebbero ora ad affrontare una grave catastrofe umanitaria. "Mio figlio aveva tre anni. Era malato in Iran, ma prendeva medicine", ha detto Zahra, una madre di 29 anni deportata dall'Iran nelle scorse settimane, con le lacrime agli occhi. "Quando ci hanno portato qui, al confine di Islam Qala siamo rimasti al sole per tre giorni. Poi siamo arrivati in città e nessuno ci ha dato nemmeno un bicchiere d'acqua. Mio figlio è morto lì. Non avevo nemmeno i soldi per comprargli un sudario”. Ha usato parole dure nei confronti dei talebani e delle agenzie umanitarie, affermando che non hanno fatto nulla di concreto per la popolazione e hanno abbandonato le persone a se stese. E si appella a cittadini e imprenditori affinchè non lascino i rifugiati a morire di fame e di caldo.
Donne non accompagnate, nemmeno il cibo senza un mahran
La situazione è ancora più difficile per le donne non accompagnate. Molti loro mariti sono detenuti o scomparsi in Iran e devono prendersi cura dei figli in un Paese in cui le leggi dei talebani limitano i diritti delle donne. "Volevo andare a Kandahar per vedere la mia famiglia - racconta Samira, 28 anni, bloccata in un campo di fortuna a Herat con due figli - ma i talebani hanno detto che le donne non possono viaggiare senza un “mahram” (un parente uomo che le accampagni, ndr). Sono bloccata qui. Anche per ricevere aiuti alimentari, devo avere un uomo che mi registri. Dato che non c'è nessuno, non ricevo nemmeno questi aiuti". Racconta che suo marito è morto in Iran circa otto anni fa e che ora lei è bloccata in Afghanistan senza alcun sostegno. L'Iran, pur con tutti i suoi problemi – prosegue Samira -, era un luogo sicuro e adatto alle donne, ma in Afghanistan la condizione femminile è peggiorata, e loro vengono trattate come animali.
"Le donne non accompagnate - osserva un operatore per i diritti umani a Herat, che ha chiesto di rimanere anonimo - sono le più vulnerabili in questa crisi. La mancanza di un'adeguata supervisione e leggi restrittive le hanno esposte ad abusi, tratta di esseri umani o persino a matrimoni forzati",
Dopo aver fornito un'assistenza modesta – sottolinea -, le istituzioni stanno abbandonando donne e bambini. Se questo processo non verrà gestito correttamente, nei prossimi mesi in Afghanistan si verificherà una grave crisi umanitaria che nessuno sarà in grado di gestire.
Economia al collasso: disoccupazione e povertà
La maggior parte di questi rimpatriati lavorava in Iran da anni, provvedendo alle proprie famiglie. Il loro improvviso ritorno in Afghanistan li ha lasciati in condizioni di povertà assoluta. Il tasso di disoccupazione nel paese ha superato il 40% e le opportunità di lavoro per le donne sono quasi inesistenti.
"Mio marito è stato ucciso in Iran due anni fa. Lavoravo in un laboratorio di cucito per mantenere i miei figli. Ora ho perso tutto. Nessuno dà lavoro alle donne in Afghanistan. Se non ci sarà aiuto, domani i miei figli non avranno niente da mangiare", ha detto Kobra, una madre di 35 anni con quattro figli. Se le condizioni per le donne non cambieranno, ha affermato, molte saranno capofamiglia alle prese con diversi problemi. Le donne sono esseri umani come gli uomini – ha detto ancora Kobra - e dovrebbero avere pari diritti nel lavoro. Le donne rimpatriate – ha aggiunto – hanno competenze sufficienti e possono essere utili alla popolazione e al governo.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo il 10% delle rimpatriate è riuscito a trovare un lavoro nelle prime settimane e la maggior parte di loro deve fare affidamento sugli aiuti alimentari di emergenza, insufficienti per tutti.
Storie di sofferenza e di attesa, da Roya a Leila
Roya, 19 anni, cinque vissuti a Teheran
“Abbiamo vissuto a Teheran per cinque anni. Mio padre faceva l'autista. Una mattina gli agenti sono arrivati presto e ci hanno prelevati tutti. Hanno portato mio padre in prigione, dicendo che c'era un problema con il suo visto. Ora siamo qui con mia madre e la mia sorellina. Non abbiamo soldi né un posto dove andare. Non dormiamo la notte per la paura.”
Maryam - Giovane madre con un bimbo di due mesi
"Il mio bambino ha bisogno di latte artificiale. L'ho tenuto solo con acqua zuccherata per due notti. Ho paura che muoia. Se fossimo stati in Iran, forse sarebbe sopravvissuto. Non c'è nemmeno un medico qui."
Leila - Donna di 40 anni, derubata al confine
"Ci hanno cacciato di casa a Mashhad di notte. Ci hanno detto che il nostro tempo era scaduto. Durante il tragitto, gli agenti ci hanno portato via tutto: oro, soldi, persino documenti. Ora non ho più niente. Ho tre figlie e nessun posto è sicuro."
Le organizzazioni internazionali avvertono
"La portata del rimpatrio forzato degli afghani dall'Iran va oltre la capacità di risposta delle agenzie umanitarie", ha sottolineato la Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite Roza Otunbayeva. "Se la comunità internazionale non interviene con urgenza, questa crisi diventerà una catastrofe umanitaria." L'Unicef ha annunciato che oltre 5.000 bambini sono entrati in Afghanistan senza i genitori nell'ultimo mese, e molti sono a rischio di malnutrizione e malattie. Anche l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha avvertito che "l'attuale sistema di aiuti non è sufficiente nemmeno per la metà dei rimpatriati".
Un futuro incerto
Nonostante le promesse dei talebani di allestire campi temporanei e fornire aiuti, la realtà è che migliaia di donne e bambini continuano a vivere all'aperto, sotto il sole cocente. Molti di loro non hanno modo di tornare in Iran, né la possibilità di vivere in Afghanistan.
Fatema, una madre che ha perso il figlio di tre anni, dice solo una frase: "Non vogliamo niente... solo un posto sicuro e del pane, così che i miei figli non muoiano di fame”.
Immagine in anteprima: frame video Al Jazeera via YouTube