Come Valigia Blu chiediamo il rilascio immediato delle cittadine e dei cittadini italiani fermati da Israele dopo l’intercettazione della Global Sumud Flotilla in acque internazionali. Tra loro ci sono anche persone che conosciamo direttamente e che hanno collaborato con noi, come Lorenzo D’Agostino e Barbara Schiavulli.
Va ribadito un principio che dovrebbe essere elementare: non si normalizza la privazione della libertà personale di civili impegnati in un’azione dichiaratamente nonviolenta, che non costituisce nessun pericolo, tanto più se l’abbordaggio avviene fuori dalla giurisdizione territoriale dello Stato. Purtroppo la cronaca e le reazioni di questi giorni stanno dimostrando non solo la necessità di ribadire questo principio, ma il bisogno di proteggerlo e farlo valere.
Di fronte a questi fatti, la scelta delle parole non è un dettaglio. “Arresto” è il termine che descrive gli atti formali rivendicati dalle autorità israeliane; ma quando un’azione militare in acque internazionali si traduce in salita a bordo, presa di controllo, trasferimento forzato e nell’incarcerazione, siamo di fronte a un vero e proprio sequestro. Secondo il team legale di Adalah, che collabora con i membri della Flotilla, nella giornata di ieri “le autorità israeliane avevano “già iniziato a svolgere udienze relative ai loro ordini di espulsione e detenzione [...] senza preavviso agli avvocati e negando accesso all’assistenza legale”.
Si è inoltre discusso in questi giorni dell’articolo 244 del codice penale, sulla possibilità che al rientro l’equipaggio della Flotilla possa essere perseguito per “atti ostili verso uno Stato estero”. Come ricordato da Vitalba Azzollini, “Gli atti ostili non coincidono dunque con la disobbedienza civile non violenta, ma richiedono una ostilità qualificata, fatta di condotte concrete e operative, capaci di esporre l’Italia ai pericoli previsti dalla legge”.
A prescindere da qualunque giudizio politico si possa avere sulla Flotilla, è assurdo che si arrivi semplicemente a valutare la plausibilità di qualificare come “atto ostile” un’azione del genere. Questo non è un dibattito astratto. Ha conseguenze concrete per persone con nome e cognome, e per la possibilità di manifestare dissenso e di partecipare a iniziative umanitarie.
Oggi sappiamo che quattro parlamentari italiani fermati sono rientrati a Fiumicino e hanno riferito pubblicamente di una “nottata molto difficile” e di “violazioni” che saranno dettagliate. Da parte del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir sono intanto arrivate dichiarazioni che invocano la permanenza in prigione dei membri dell’equipaggio, definiti “terroristi”. Questi elementi rafforzano la necessità di un’immediata liberazione, e di un dibattito pubblico che smetta di alzare il tiro denigrando i membri dell’equipaggio, creando quindi una cornice in cui è lecito pensare che siano meno protetti.
(Immagine anteprima: frame via RaiNews)