Il 78° Festival del cinema di Locarno, conclusosi a metà agosto, si conferma tra gli eventi mainstream del cinema come uno degli appuntamenti più stimolanti, aperto all’attualità, alla dimensione sociale del nostro quotidiano, ad una visione che spazia oltre la produzione occidentale e che non si fa sopraffare dalla produzione hollywoodiana.
Queste caratteristiche continuano ad attirare un pubblico progressista che la sera del 7 agosto si è alzato in piedi in Piazza Grande e per alcuni lunghi minuti ha applaudito ricordando Gaza.
Tra i film che mi hanno positivamente colpito nei giorni che ho trascorso al Festival ho scelto di presentare qui due produzioni che, pur essendo diversissime tra loro – una, The deal (L’accordo) ,è una serie di sei puntate destinata alla televisione e l’altra, Olivia y el terratremol invisibile (Olivia e il terremoto invisibile) un film di animazione presentato nella sezione destinata ai bambini/ragazzini – hanno una caratteristica comune: affrontare problematiche attuali attraverso una storia di fantasia capace di coinvolgere gli spettatori in contesto storico/sociale di grande importanza, rendendoli così non più argomenti destinati solo agli esperti o agli involontari e sfortunati protagonisti.
The deal (L’accordo) del regista svizzero Jean-Stéphane Bron, coproduzione Svizzera, Francia Lussemburgo, Belgio racconta delle trattative del 2015 sul nucleare iraniano. E’ composto da una serie di sei episodi presentati durante il festival in versione completa, in anteprima mondiale e dei quali i primi due sono stati proiettati anche in Piazza Grande, riscuotendo grande successo di pubblico.
Siamo in Svizzera, nel 2015 a Ginevra, in un grande albergo sul lago dove si svolgono i colloqui sul nucleare iraniano tra USA e Iran sotto la regia svizzera e in presenza di rappresentanti di Russia, Cina e UE. Le delegazioni statunitensi e iraniane hanno, a fianco dei rappresentanti politici, anche dei tecnici, ingegneri che devono valutare e discutere tra loro, la potenza e le varie possibilità d’uso della produzione nucleare iraniana. All’ultimo momento l’ingegnere iraniano a causa delle minacce ricevute che metterebbero a rischio la sua sicurezza, viene sostituito; a prendere il suo posto è Payam, un tecnico che arriva al tavolo delle trattative direttamente dalla prigione dove è stato rinchiuso dal governo iraniano con l’accusa di contatti non autorizzati con scienziati occidentali, accusa da lui sempre rigettata.
Payam era stato il compagno di Alexandra, capo della missione svizzera presente ai colloqui, la quale per qualche anno aveva lavorato all’ambasciata elvetica a Teheran. Durante i giorni delle trattative Payam è costantemente sotto il controllo dei Guardiani della Rivoluzione che affiancano il ministro iraniano, espressione invece di posizioni politiche più moderate.
Anche nella delegazione USA vi sono forti contrasti tra democratici – in quel momento il presidente era Barack Obama – e repubblicani, con tensioni anche interne ai due partiti dovute all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2016. Tutte le trattative si svolgono sotto l’onnipresente controllo del Mossad, il non invitato servizio segreto israeliano, che si muove al di là di qualunque vincolo internazionale e con stretti contatti con i rappresentanti USA.
La storia personale tra Payam e Alexandra, frutto di fantasia, tiene attaccato allo schermo un ampio pubblico che non sarebbe stato altrimenti interessato a seguire un documentario sulle vicende del 2015 sul nucleare iraniano, ma nel medesimo tempo non distorce la narrazione di fatti storici.
“Mi calo nei retroscena della diplomazia per raccontare i costi umani del potere in un dramma intimo e avvincente. Cerco di rivelare con occhio da documentarista le crepe del protocollo e i fragili legami dietro le grandi sfide” ha dichiarato il regista.
Un esperimento a mio parere riuscito che, seppure in modo romanzato, ben illustra le numerose e imprevedibili variabili presenti in simili trattative, la complessità di ogni campo, ben al di fuori della semplice contrapposizione uno contro uno, il ruolo di soggetti terzi che formalmente non fanno parte delle delegazioni ufficiali ma talvolta sono determinanti, i complessi intrecci di interessi spesso solo apparentemente estranei al merito della discussione.
Il tutto con un occhio particolare d’attenzione a quello che avviene dietro le quinte, dove si muovono i servizi segreti con non poche contraddizioni al loro interno.
Può benissimo essere che alcuni passaggi, in particolare la descrizione delle contraddizioni interne a Iran e Usa, siano in parte frutto di fantasia e di un’interpretazione soggettiva, ma questo non rende meno interessante la descrizione del contesto soprattutto quando questo è ancora di drammatica attualità.