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Anas al Sharif e altri quattro giornalisti palestinesi di Al Jazeera uccisi a Gaza

Riceviamo dal giornalista italo-palestinese Milad Basir.

L’ennesima strage dei giornalisti palestinesi a Gaza, un raid preciso studiato a tavolino dai militari israeliani, ha colpito la tenda della stampa davanti all’ospedale di Al Shafaà con tanti colori blu per indicare ‘stampa’.

In questo raid è stato ucciso il noto, giovane e famoso giornalista palestinese di al Jazeera Anas Al Sharif, che da oltre un anno e mezzo trasmetteva al mondo intero ciò che succedeva a Gaza: stragi, sfollamento, demolizione di case, bombardamenti, uccisioni dei bambini in fila per un chilo di farina.

Anas con i suoi 29 anni, con la sua voce e la sua telecamera era l’unico testimone del genocidio.

Nei mesi scorsi aveva ricevuto tante telefonate, messaggi, minacce perché smettesse di trasmettere e stesse zitto, come raccontava lui stesso ai suoi colleghi, ma anche all’emettente satellitare al Jazeera; non ha accettato e ha continuato il suo lavoro perché voleva e intendeva fare conoscere al mondo intero cosa sta succedendo a Gaza.

Lui come gli altri 245 giornalisti palestinesi uccisi a Gaza in questa assurda guerra, moltissimi giovani sotto i trent’anni.

Anas era padre di due figli, una femmina, Sham e un maschio, Salah. E’ stato ucciso perché il carnefice non vuole testimoni, perché i testimoni sono scomodi, nonostante le minacce e i messaggi.

Giovane e brillante giornalista, nato e cresciuto nei campi profughi come milioni di palestinesi, ha voluto continuare la sua opera e raccontare la verità al mondo.

Anas e i suoi colleghi sono stati lasciati da soli in questa lotta impari;  combattevano con le loro telecamere e con le loro voci, raccontavano la sofferenza, il dolore di un popolo affamato, distrutto e massacrato.

Sono stati lasciati da soli dallo stesso mondo del giornalismo internazionale, dalle federazione tutte, comprese quelle europee e quella italiana, sono stati abbandonati dalla loro stessa emettente che non ha preteso e non ha garantito loro un clima e un ambiente sicura nei limiti del possibile. Infine sono stati lasciati soli dal mondo politico, dal mondo civile che non fa altro che predicare il diritto all’informazione e il diritto del giornalista, ma evidentemente questi diritti sono validi solo per i cristiani biondi con gli occhi azzurri.

Per gli altri, i mori, gli orientali con la pelle scura e di fede musulmana e per giunta palestinesi questi diritti non si applicano.

Purtroppo è questa la verità di questo mondo ipocrita e falso; chi scrive non è di fede musulmana.

Israele questa volta non ha detto come al solito: “E’ stato un errore.” Con una dichiarazione ufficiale dell’esercito ha raccontato di avere assassinato Anas perché era un terrorista.
Secondo loro.

Anas era consapevole del rischio di essere ucciso, per cui come altri giornalisti  – Ossama Shabat e altri – ha lasciato a tutte le persone libere il suo testamento.

“ Questo è il mio testamento e la mia ultima lettera; se ricevete queste mie parole dovete sapere che Israele è riuscita ad uccidermi e fare cessare la mia voce, la mia testimonianza.
In primis la pace, la benedizione e la clemenza di Dio siano con voi, Dio lo sa che ho fatto tutto il possibile per essere la voce, il sostegno e la forza del mio popolo. Da quando ho aperto gli occhi a questa vita, nei vicoli stretti e nel quartiere del campo profughi di Jabalia, avevo sola una speranza, quella di una vita lunga per potere tornare un giorno con i miei familiari e i miei cari alla mia cara e amata città عسقلان Ashkelon, che è sotto occupazione “ al Majdal” ma la volontà di Dio mi ha preceduto e il suo giudizio è efficace.”

Milad Jubran Basir

Fonte
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