Salta al contenuto principale

Leggere e rileggere Francesca Albanese

Proprio nei giorni in cui Francesca Albanese viene presentando, con grandissima affluenza di pubblico, in tutta Italia il suo ultimo libro “Quando il mondo dorme” edito da Rizzoli (Francesca Albanese: “La sopravvivenza della Palestina sarà la nostra riabilitazione” ), vi proponiamo una rilettura di un altro suo scritto, “Je accuse” pubblicato da Fuori Scena nel 2023

Un saggio diventato suo malgrado un “instant book” e poi sottratto a quella sorte dal dibattito acceso sulla sua autrice. È “J’accuse”, provocatorio titolo del libro scritto da Francesca Albanese (intervistata da Christian Elia), relatrice speciale dell’Onu per la Palestina (ruolo esistente dal 1993 e per la prima volta attribuito a una donna, riconfermata per altri 3 anni nelle scorse settimane) per illustrare anche ai meno informati i risultati di “vent’anni di ricerche sul campo”.

Il volume è stato pubblicato a fine 2023, due mesi e mezzo dopo l’attacco del 7 ottobre, e molte altre cose terribili sono accadute nei 20 mesi successivi. Ma l’opera di Albanese rimane centrale per comprendere come si è arrivati al 7 ottobre, raccontare decenni di occupazione illegale e apartheid. E spunta ulteriormente le “armi” ai suoi detrattori, tra i quali potenti del calibro di Donald Trump, che l’accusano di essere antisemita e fiancheggiatrice di Hamas.

Albanese nel libro afferma e ribadisce ripetutamente che l’attacco del 7 ottobre va considerato un crimine di guerra e come tale va punito. Ma non si può con questo giustificare le atrocità commesse dal governo israeliano, responsabile di innumerevoli violazioni del diritto internazionale oltre che di crimini di guerra e, secondo Albanese e molti studiosi anche israeliani e di fede ebraica, di genocidio, in base alla definizione della Convenzione adottata dall’Onu il 9 dicembre 1948 e ratificata anche dallo Stato di Israele. “Secondo il diritto internazionale i popoli oppressi hanno il diritto assoluto di opporsi alla loro oppressione ma anche la responsabilità categorica sui mezzi e sui metodi. Uccidere civili innocenti è illegale: da qui bisogna iniziare”.

Il primo capitolo spiega la scelta “provocatoria” del titolo. “La verità prima di tutto” è il celebre incipit della lettera aperta che Emile Zola scrisse al Presidente della Repubblica il 13 gennaio 1898 sul giornale socialista di Parigi “L’Aurore” con lo scopo di denunciare pubblicamente i persecutori di Alfred Dreyfus, le irregolarità e le illegalità commesse nel corso del processo che lo vide condannato per alto tradimento sulla base di false accuse e del pregiudizio a causa della sua fede ebraica.

“Quelli che descrivo in questo libro sono fatti incontestabili. È determinante capire cosa c’è dietro. Questo non significa in nessun modo giustificare o minimizzare gli atroci crimini commessi contro i civili israeliani il 7 ottobre e non mi stancherò mai di asserirlo. Ma bisogna collocare quell’orrore nel contesto di un’occupazione illegale che va avanti da oltre mezzo secolo, dopo altri decenni di abusi”.

L’occupazione illegale del 1967 non si è mai interrotta nonostante le risoluzioni dell’Onu, anzi si è estesa a macchia di leopardo, per dividere tra loro i villaggi palestinesi rimasti. Nei territori occupati della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est ai palestinesi si applica la legge marziale. “Milioni di palestinesi vivono senza diritti in balia dell’occupante: non hanno il permesso di circolare e di uscire dai confini se non per curare malattie che non possono essere trattate nei Territori palestinesi occupati (e anche in quel caso solo il 36% delle richieste è accolto), non possono studiare, lavorare, incontrarsi o esprimere opinioni senza temere di essere arrestati. Non possono costruire una casa per la loro famiglia o una scuola per i bambini: il 91% delle richieste viene respinto, e anche una volta eretto l’edificio può essere impunemente demolito dall’esercito o dagli stessi coloni illegali. I soldati fanno irruzione in piena notte nelle case, picchiano, arrestano e terrorizzano i palestinesi per farli sentire sottomessi e paralizzati dalla paura. Oltre 12mila i bambini dai 12 anni in su vittime di ‘detenzione amministrativa’, arbitraria e senza controllo”.

“Questo regime esiste per garantire la sicurezza delle colonie – spiega la relatrice –. E ai concetti di sicurezza e autodifesa si è appellato il governo di Netanyahu per giustificare i crimini perpetrati dopo l’attacco di Hamas: bombardamenti a tappeto della popolazione civile nelle città e nei campi profughi, negli ospedali e nelle scuole. Ma l’oppressione sistematica con l’uso della forza è la norma fin dalla Naqba del 1948 e in particolare dal 1967, anno dell’occupazione di nuovi territori dopo la ‘guerra dei sei giorni’. Tale occupazione fu dichiarata illegale dall’Onu, malgrado ciò Israele non ha mai rispettato la risoluzione, anzi ha continuato a creare colonie illegali ovunque. Ma prima del 7 ottobre 2023 l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale è sempre stata vicina allo zero”.

La voce dei palestinesi oppressi è sempre stata soffocata, aggiunge Albanese, con la motivazione che la loro stessa esistenza rappresenta una minaccia per la sopravvivenza di Israele. Tutta la comunità internazionale ha definito gli attacchi del 7 ottobre “un vile attacco terroristico” e la reazione dell’esercito “legittimo esercizio del diritto all’autodifesa”. “In questo modo però 2,3 milioni di palestinesi rispondono del comportamento di un gruppo politico militare che – pur avendo vinto nel 2006 le elezioni più trasparenti del mondo arabo secondo gli osservatori internazionali del tempo – è considerato un’organizzazione terroristica da Usa, Ue e molti altri. Ma Hamas non rappresenta e non può rappresentare un popolo intero, salvo immaginare 2.3 milioni di complici che votano all’unanimità l’attacco del 7 ottobre”.

C’è poi la questione della definizione di “terrorismo”. “Non è contemplata dal diritto internazionale, che ritiene invece Hamas un’organizzazione di combattenti che tentano di porre fine all’occupazione del loro territorio. Del resto il popolo occupato invoca il diritto a resistere all’oppressione, come stabilito dal diritto internazionale e dalla risoluzione 3236 paragrafo 5 dell’assemblea generale dell’Onu, che riconosce il diritto del popolo palestinese di riacquistare i suoi diritti con tutti i mezzi in conformità con la Carta dell’Onu. Israele ha il diritto di respingere Hamas dal suo (legittimo) territorio e punire chi ha compiuto delitti contro i suoi cittadini, ma non certo attraverso punizioni collettive e stragi di civili come ha fatto ogni giorno a partire dal 7 ottobre. Sarebbe come se il governo francese, all’indomani della strage del Bataclan, avesse bombardato a tappeto le banlieau”.

Uno stato occupante non può poi invocare il diritto all’autodifesa – aggiunge Albanese – dal momento che Israele mette in atto una forma di ‘colonialismo d’insediamento’ illegale basato sull’aggressione, l’oppressione, l’apartheid e il mantenimento dell’ordine attraverso la legge marziale, applicata ai soli palestinesi.

Ma su cosa si basa l’accusa di apartheid? Rispondono gli stessi israeliani: “Un territorio in cui due popoli sono sottoposti a due sistemi giuridici separati è in uno stato di apartheid”, ha detto l’ex capo del Mossad, Tamir Pardo in un’intervista all’Associated Press il 6 settembre 2023. “Ma la conferma più clamorosa arriva da Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale – spiega l’alta rappresentante – che durante un programma televisivo ha ammesso in diretta che il suo diritto e quello della sua famiglia di circolare liberamente in Cisgiordania è più importante di quello degli arabi, aggiungendo ‘Mi dispiace, ma questa è la realtà’”.

Molti sostenitori difendono Israele ritenendolo “l’unica democrazia del Medioriente”. “Ma si può considerare democrazia un regime che applica l’apartheid? Nel 2018 la Knesset ha approvato la ‘legge fondamentale’, che definisce Israele lo Stato nazionale del popolo ebraico. L’unica lingua ammessa e le sole feste nazionali sono ebraiche, benché il 20 per cento della popolazione non sia ebreo bensì musulmano o cristiano. Quella legge è la cartina al tornasole del suprematismo, che discrimina i non ebrei, trasformando i diritti in privilegi.

Il regime applica la legge marziale e punizioni collettive a 5 milioni di persone, le discrimina con campagne mirate di disumanizzazione e impedisce lo sviluppo di un’identità culturale sul territorio che l’Onu ha affidato ai palestinesi per la creazione di uno stato indipendente. Permette e favorisce attacchi letali di coloni armati. Uccide e imprigiona senza processo migliaia di palestinesi. Dal blocco di Gaza nel 2007 al 7 ottobre 2023 sono stati 4.269 i pestinesi uccisi e 41.448 quelli feriti, 1.025 i bambini assassinati e 7.588 quelli feriti e mutilati”.

“Ogni voce di dissenso o testimonianza viene soffocata: un numero esorbitante di giornalisti palestinesi è stato imprigionato o ucciso in maniera mirata, e l’accesso ai giornalisti di altri Paesi ai Tpo è vietato. Buona parte delle ong è accusata senza prove di essere filo-Hamas o addirittura di terrorismo, a partire dalla stessa Unrwa. Persino agli esponenti delle massime organizzazioni internazionali, come i relatori speciali dell’Onu, viene impedito l’accesso al territorio e ai documenti dello Stato di Israele. Solo nei primi tre mesi e mezzo del 2023 sono stati arrestati 2.300 palestinesi, 350 minori. I detenuti, in molti casi trattenuti per mesi senza formalizzare alcuna accusa, vengono torturati, sottoposti ad abusi, privati di cibo e sonno”.

Un quadro tragico, insomma, ulteriormente deteriorato da 21 mesi di stragi, talmente spudorate da suscitare finalmente una qualche reazione anche tra i tradizionali alleati di Israele oltre che nell’opinione pubblica interna. Ed è proprio da qui che secondo Francesca Albanese si può ripartire. “La comunità internazionale ha il compito di accompagnare lo Stato di Israele in un percorso di democratizzazione che garantisca i diritti a tutti e abolisca la legge marziale nei territori occupati. E di impegnarsi per realizzare finalmente il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese”.

Claudia Cangemi

Fonte
https://www.pressenza.com/it/feed/