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78° Festival del cinema di Locarno. Dal nucleare iraniano al diritto alla casa, tra finzione e realtà. Seconda parte

Come spiegato nell’articolo precedente, tra i film che mi hanno positivamente colpito nei giorni che ho trascorso al Festival, ho scelto di presentare qui due produzioni che affrontano problematiche attuali attraverso una storia di fantasia. Oggi scrivo di un film d’animazione.

Olivia y el terratremol invisibile (Olivia e il terremoto invisibile), della regista spagnola Irene Borra, coproduzione Belgio, Cile, Spagna, Francia e Svizzera, è un film destinato ai bambini, ma assolutamente adatto anche agli adulti, perché affronta un tema attualissimo in tutte le grandi città europee e non solo: la casa, l’abitare.

Quando la famiglia viene sfrattata, la vita di Olivia, 12 anni, crolla. Con la madre Ingrid e il fratellino Tim è costretta a occupare un appartamento. Decide così di convincere Tim che è tutto solo un film di cui loro sono gli interpreti principali; in un film tutto è permesso, anche quello che non dovrebbe verificarsi nella realtà. Quando la situazione diventa difficile Tim chiede alla sorella di uscire dal film e di tornare alla vita reale; gli viene spiegato che quello che sta vivendo è purtroppo tutto vero, ma il bambino non riesce ad accettare che la realtà possa superare la fantasia che già gli appariva insopportabile.

Una storia dura, raccontata nella sua crudezza ma sempre con delicatezza e con gli occhi e le parole dei bambini, i cui comportamenti sono descritti in tutte le loro contraddizioni: accoglienza, discriminazione e solidarietà si susseguono nel tempo in un’evoluzione segnata dall’innocenza di un’età non ancora (almeno non ancora completamente) soggiogata dai valori del potere e del denaro.

La solidarietà che si sviluppa tra le famiglie povere che abitano la casa occupata fa da contrasto all’indifferenza dell’ambiente nel quale viveva precedentemente la famiglia di Olivia. Anche in questo caso, il film mostra una realtà ma non colpevolizza, non giudica e in tal modo non allontana a priori una parte del potenziale pubblico, che comunque è condotto per mano a guardare con i suoi occhi l’ingiustizia che si realizza. Un’ingiustizia che man mano che la storia procede passa da una dimensione individuale a una collettiva.

Buona l’idea di spiegare, brevemente e con immagini eloquenti, come vivono in Africa, il ruolo della famiglia allargata e della comunità come contenitore sociale anche in sostituzione di un welfare inesistente. Welfare che è invece rappresentato nella città di Olivia da un assistente sociale presente e disponibile, ma succube di regolamenti e prescrizioni incapaci di rispondere a una lettura complessiva dei bisogni. Bisogni qui rappresentati dalla storia di una famiglia autoctona e nella quale quindi molti possono riconoscersi, che incontra gli immigrati in una condivisione inaspettata della propria condizione catapultando adulti e bambini in realtà meticce, quartiere, casa, scuola, molto diverse da quella di provenienza. Un incontro probabilmente imprevisto e inaspettato.

Ogni volta che la situazione precipita, che le difficoltà sembrano insormontabili Olivia ha la sensazione di un terremoto destinato a porre la parola fine, ma proprio da questa sensazione terrificante la bambina trova la forza per risalire la china e affrontare le difficoltà; la conclusione non potrà che essere frutto di un’azione corale.

Un film attualissimo, pensiamo solo al recente scandalo milanese o alla lotta per la casa che da anni si svolge a Barcellona; non a caso è la città dove lavora la regista e che ha portato nel 2015 Ada Colau, attivista della campagna Stop desahucios (“Stop sfratti”) a diventare sindaca. Un film da vedere insieme a figli e nipoti.

 

Vittorio Agnoletto

Fonte
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