di Jacopo Tondelli (Gli Stati Generali)
Nei giorni in cui prende ufficialmente il via la piena occupazione di Gaza da parte di Israele, che Netanyahu proclama indispensabile per la soluzione finale del problema Hamas, il suo ministro delle finanze Bezalel Smotrich, esponente della destra razzista anti-araba, dichiara la morte dello Stato palestinese, mentre annuncia la colonizzazione di una zona a est di Gerusalemme, che produrrà la frammentazione non ricomponibile della Cisgiordania già martoriata dall’occupazione e dalla colonizzazione. Gli ultimi sfacciati difensori di Netanyahu spiegano che lui non è Smotrich e nemmeno Ben Gvir, altro estremista che fa il ministro. Ma anche a voler credere alle difese d’ufficio, quella di un piano di colonizzazione così ampio e così simbolicamente e materialmente importante annunciato contro il volere del primo ministro è una favoletta alla quale non può credere nemmeno il più ingenuo, o il più cattivo, tra i tifosi d’Israele. Ad aprire il cerchio simbolico di una tre giorni tragicamente significativa, era stato peraltro proprio Ben-Gvir, con una visita umiliante a Marwan Barghouti, leader palestinese detenuto da Israele da oltre venti anni. Una visita che aveva il solo scopo di rappresentare l’estremista di governo mentre rideva in faccia al nemico imprigionato.
Se dovessimo astrarre gli elementi politici, etici e giuridici che accomunano i tre “episodi”, potremmo dire che in tutti e tre si esplicita in modo aperto il rifiuto di considerare come vincolanti le regole del diritto internazionale, che si dichiara discendente da principi generali di diritto universale. Un rifiuto, quello di un diritto universale che genera e insieme limita ogni diritto particolare, che in Israele è andato progressivamente radicandosi lungo i decenni che hanno seguito la Guerra dei Sei Giorni e l’occupazione e la colonizzazione dei Territori Palestinesi in nome di un diritto del popolo ebraico che discendeva dalla Bibbia, che si è nutrito dello speculare e opposto rifiuto di ogni compromesso da parte palestinese, soprattutto in seguito all’ascesa di Hamas. A questa logica di supremazia del proprio asserito diritto a difendersi rispetto a qualunque regola del diritto internazionale e di guerra, risponde infatti senza dubbio l’evacuazione forzata di Gaza City, con incalcolabili costi di vite di civili incolpevoli. Alla stessa logica risponde un’ulteriore e decisiva espansione coloniale in Cisgiordania, che realizza subito un ulteriore esproprio di terra altrui e un aggravamento della condizione giuridica e materiale dei palestinesi che ci vivono, rendendo ancora più nitida la volontà israeliana di negare l’autodeterminazione al popolo sotto occupazione. Invero, Smotrich sopravvaluta il peso del suo annuncio sulla nascita dello stato palestinese: che non potesse nascere era già chiaro a tutti da un po’, e il simulacro del riconoscimento da parte di alcuni paesi europei era un pannicello simbolico, giusto politicamente, quanto irrilevante nel determinare il corso della storia. Quanto alla visita irridente di un ministro a un carcerato, non c’è bisogno di sprecare parole per dire che è in violazione di ogni principio di civiltà giuridica, e prima ancora di umanità.
In queste tre istantanee israeliane, che arrivano da un lungo passato e si proiettano in un lugubre futuro, c’è qualcosa di più grande e più spaventoso perfino della tragedia che si consuma senza sosta a Gaza. Perché in fondo, quel che viene esplicitamente sancito, laggiù è rappresentazione di un sentire del mondo e del suo potere reale per come lo stiamo vedendo manifestarsi adesso che il secolo ha raggiunto il suo primo quarto: conta solo la maggior forza. Chi ha quella può contare sul fatto che riuscirà a farla valere, perché solo la forza è regola dei rapporti. I consapevoli diranno: ma è sempre stato così, in Medio Oriente e non solo. Vero, in parte. Ma non mancava, nel vecchio e fragile mondo ridisegnato dopo la Seconda Guerra Mondiale, un sistema di pesi e contrappesi al quale, quantomeno, gli umani di buona volontà potevano aggrapparsi, sulla base del quale potevano indignarsi, esprimendo una condanna che a volte salvava delle vite, e magari anche dava nuovi diritti a chi non ne aveva mai avuti. Oggi tutto questo sembra trascinato definitivamente nel gorgo di un passato lontano, e ad ogni livello, dall’economia alla politica internazionale, sembra esistere solo la legge antecedente alla civiltà. Nello specchio di Gaza, dunque, non vediamo solo la barbarie di oggi, ma l’elevarsi a sistema di quella di un passato che credevamo remoto, prima di accorgerci che l’ultracorpo della prepotenza impietosa sta già costruendo il mondo di domani.
Articolo originale pubblicato su Gli Stati Generali e pubblicato per gentile concessione della testata.
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