Salta al contenuto principale

Global Sumud Flotilla, un impegno in un mare di umanità

Un pomeriggio di agosto, quando le avventure estive sembravano ormai alle spalle, è piombato sullo schermo del mio telefono un post con tante barche e bandiere colorate. La flotilla salpava ancora! Ha avuto senso prendere la patente nautica, mi dico, potevo unirmi!

Ma ero uno dei tanti, uno a caso, ti pare che posso unirmi e sfidare la violenza internazionale? Possibile arrivare a contatto con una guerra apparentemente così lontana? Di lì a pochi giorni ho scoperto che potevo eccome! Bastano due click e si assaggia la guerra di un oltremare lontano.  Questa rete di persone unite da una visione non è un’organizzazione elitaria, né una task force iper-esclusiva, assomiglia più a una banda navale che suona i colori della resistenza civile nonviolenta. Le grandi competenze e l’esperienza vengono condivise all’unisono, in un concerto galleggiante. La ricompensa: umanità!

Dopo qualche breve scambio virtuale con perfetti sconosciuti mi sono trovato su un treno con una marea di dubbi, un porto romano da raggiungere e il gioco di fare per la prima volta il comandante di una barca.

Ci siamo trovati io, Jules e, appunto, la barca sotto il sole di agosto. Il compito: portarla in Sicilia. Una quantità di cose potevano andare male e sono andate peggio del previsto.

L’ultima notte ci siamo trovati senza motore, senza luci, senza batteria e con le onde al traverso. Una leggera brezza da 20 nodi suggeriva pacatamente di ridurre le vele sbatacchiando qua e là la randa come un fazzoletto usato. Siamo riusciti a prendere due mani di terzaroli, cioè ridurre l’altezza della vela della metà. A quel punto ho potuto fare un bel tuffo in cabina alla ricerca del guasto mentre Jules, a gambe ben larghe e timone nelle mani, dava prova di sé sulle montagne russe del mare. Mi sono trovato aggrovigliato tra i meandri del motore, il diesel ormai aveva preso domicilio nelle nostre narici e si era autoproclamato nostro personalissimo balsamo per capelli mano a mano che i nodi meccanici venivano al pettine. Maurizio, il nostro santo patrono, veniva invocato al telefono ormai con cadenza oraria per darci manforte con soluzioni meccaniche. Al terzo giorno di fila a risponderci alle 4 di notte senza fare mezza piega mi sono veramente stupito che non riattaccasse. Insomma: il carburante non ne voleva sapere di passare dal serbatoio al motore, Otaria aveva una congestione. Sei ore dopo, un tubo di gomma e una fascetta ci hanno fatto passare lo stretto di Messina in tutta tranquillità, come se non fosse successo nulla. Col mare fin troppo piatto siamo arrivati tra le braccia dei nostri compagni in Sicilia. Incredibile, eravamo a terra.

La mattina al porto c’era fermento, come un formicaio disturbato in pieno giorno che brulica da ogni pertugio. Una riunione logistica e subito lo sferragliare di attrezzi ha ben presto cosparso l’aria di concitazione: Cacciavite! Randa! Issa di qua, tira di là, gente sull’albero: occhio! Fate largo! Fuori i cuscini, dentro le chiavi inglesi! Fuori il superfluo, dentro gli attrezzi! Dov’è il flessibile?

Il ventre delle barche rimestato dall’interno si riempie vorticosamente di lavoratori instancabili. I compiti si intrecciano, i sudori si mischiano, i pertugi delle barche violati dalla foga di risolvere i problemi meccanici più scomodi.

Tutte queste formichine così energiche da dove prendono la grinta sotto il sole di mezzogiorno? Dove risiede la loro determinazione a confrontarsi col formichiere a stella bianca e azzurra che tutto può? Le formiche sanno che dall’altra parte del Mediterraneo il formichiere impazzito sta scagliando violentemente la sua proboscide su dei corpi come i loro! Come fanno a non salpare? Si muovono perché la loro azione è la difesa dei loro stessi corpi! Si sentono in pericolo e agiscono assieme!

Cala il sole e il lavoro si placa. L’aria è calda e la brezza piacevole. Voci dicono che sono stati raccolti 3 milioni di euro e 200 tonnellate di cibo. I portuali di Genova mi commuovono, le manifestazioni esplodono nelle strade, sembra che tutto il mondo ci sostenga e c’è anche chi è contrario: perché vengono raccolte somme così grosse per sprecarle in un sequestro? Quei soldi potevano essere destinati direttamente ai palestinesi! Le sinistre d’altronde fanno così: criticano e cercano la soluzione migliore. Penso che si possa distruggere col pensiero qualsiasi impresa incerta. Il mondo sarebbe già perfetto se non ci fossero imprese incerte da compiere per provare a cambiarlo.

Durante le nottate e i giorni di navigazione non ho mai smesso di stupirmi del supporto che c’era dietro alla nostra piccola impresa. Come mai così tante persone si privano del sonno, mettono in gioco i loro corpi, il loro tempo e i loro soldi per la causa palestinese? Molti non l’hanno nemmeno mai vista la Palestina! Ci dev’essere un trucco, qualche interesse….

Posso solo immaginare quanto tempo e quante energie stia comportando questa operazione. Se moltiplichiamo mentalmente questa nostra settimana per 60 barche e la volontà di centinaia di persone, mi rendo conto che c’è la voglia di cambiare le cose, che c’è empatia per qualcosa di più grande. Per me già una barca era una cosa grande, ma qui si fa il gioco di liberare uno Stato. Il gioco di decine di barche e centinaia di persone che sfidano uno Stato che può fare le sue regole senza regole e il contesto politico internazionale!

Davanti a un popolo dilaniato, le persone si uniscono per esercitare l’umanità, la speranza e la solidarietà di fronte all’ormai conclamato genocidio in corso a Gaza!

Redazione Italia

Fonte
https://www.pressenza.com/it/feed/